Giornata mondiale dei popoli indigeni.
In un mondo sempre più globalizzato nel quale alimenti, prodotti e idee tendono ad essere conformati, la diversità viene spesso vista come un ostacolo, un’incongruenza da appianare.
Eppure, disseminate per il globo, esistono oltre cinquemila comunità definite “indigene”, che resistono a questo appiattimento culturale e che perpetuano tradizioni e stili di vita antichi, con caratteristiche sociali, culturali, economiche e politiche distinte da quelle delle società dominanti in cui vivono.
Il problema comune di queste popolazioni è la difesa dei propri diritti. Dopo secoli di soprusi, genocidi, colonizzazioni ed “esportazioni di civiltà”, la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di predisporre misure speciali di protezione dei diritti dei popoli indigeni del mondo e nel 2007 l’Onu ha adottato la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, che conferisce ai diritti collettivi un rilievo senza precedenti nel campo del diritto internazionale dei diritti umani.
Il documento sancisce il diritto di questi popoli a mantenere e rafforzare le proprie istituzioni, culture e tradizioni e a perseguire la forma di sviluppo più adatta ai propri bisogni e aspirazioni. La Dichiarazione garantisce loro il diritto all’educazione, alla salute, al lavoro, alla lingua e all’autodeterminazione. Ma, nonostante le conquiste degli ultimi anni, siamo ancora lontani dall’effettiva attuazione di politiche adeguate e i diritti dei popoli indigeni vengono calpestati con sistematica regolarità.
È necessario e urgente includere rappresentanti dei popoli indigeni nei processi decisionali anche perché queste popolazioni custodiscono segreti fondamentali, come la conoscenza delle piante medicinali e sono ancora in grado di comprendere il linguaggio della natura, che noi abbiamo smesso di ascoltare con le conseguenze nefaste che tutti conosciamo. Un motivo in più per preservare tali culture.